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15 April 2015 Comments (0) Views: 6269 tappe

fiamignano
23 agosto

La storia del territorio nonostante la povertà della regione, collocata fra impervie montagne e da sempre configurantesi con insediamenti umani frazionati, è stata ricca e varia. Per aver un concetto sia pur fugace dell’importanza del popolo degli Equi, antichi abitanti del territorio del Cicolano, basterebbe ricordare che Plinio ne faceva arrivare il loro territorio originale fino al di là di Tivoli con 41 città importanti tra cui Cliternia, Vesbola, Suna, Nerse e Tioria. L’ubicazione delle quali è attestata da molteplici ritrovamenti archeologici, reperti archeologici posteriori sono stati di recente individuati nei pressi di Corvaro e attestano un antichissimo popolamento del territorio. D’altra parte se i reperti di epoca classica sono numerosi e notevoli, non altrettanto ricche sono le fonti storiche che parlano del Cicolano, se si eccettuano gli accenni che di esso fa Dionigi di Alicarnasso, Diodoro Siculo XIV e Virgilio. La citazione di Virgilio attesta l’attività delle genti equicole cioè caccia e rapina e da un quadro realistico di quello che era il popolo equo. Ma quali che furono le vicende equicole dell’antichità il Cicolano attuale affonda le sue origini umane e sociali nel Medioevo.
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Infatti, scomparsi assai presto i centri romani, le popolazioni si sparsero e sull’onda delle invasioni saracene e normanne dei secoli X e XI, cominciarono a nascere e si affermarono i centri incastellati (vedi quello di Fiamignano che in parte è stato recentemente restaurato e quello di Rascino), tanto che verso la fine del secolo si potevano contare circa trenta castelli, numerose erano anche le parrocchie e i monasteri facenti parte della diocesi di Rieti. Ed è proprio nel medioevo feudale, affermatosi dopo la presenza attiva dei monaci Benedettini che nasce la storia di questa terra, che fa sentire ancora oggi i suoi effetti nella tradizione varia e multiforme delle genti che lo abitano. Le famiglie dei Mareri e dei Colonna (vedi stemma in pietra sulla fontana di Fiamignano) sono le protagoniste della storia del Cicolano fino alle soglie del XVII secolo.

Nei secoli XVII e XVIII il Cicolano conobbe uno sviluppo demografico notevole che portò l’espansione dei centri maggiori come Petrella, Fiamignano e Borgocollefegato (oggi Borgorose) e in misura minore Borgo S.Pietro. Il Secolo XIX, che per il Cicolano come per tutto il Regno si apre con la fine del Feudalesimo è denso di avvenimenti: adesione all’Unità d’Italia, fenomeno del Brigantaggio. Il racconto dei briganti è vivo ancora oggi nella memoria popolare posseduta da anziani narratori. Nel 1915 un terremoto cancellò gran parte del territorio di S.Anatolia di Borgorose, Oiano e Petrella Salto. Alcuni centri come Collefegato scompaiono del tutto, altri furono ricostruiti cambiando totalmente fisionomia. Nel 1927 il Cicolano entrò a far parte della nuova Provincia di Rieti, poi venne la guerra e il fascismo accettato supinamente dagli abitanti della zona.

Nel 1940 la costruzione dell’invaso idroelettrico del Salto sommerse i paesi di S.Ippolito, Fiumata, Teglieto e Borgo S.Pietro, ricostruiti più a monte. Poi vi fu l’avvento della seconda guerra mondiale, il secondo dopoguerra con l’industrializzazione che seguì segnando l’inizio di uno spopolamento dovuto ad una fuga delle forze giovani verso la città. Molti paesi sono ormai spopolati e ridotti a centri della Domenica, il loro turismo non riesce a decollare, mentre la recente costruzione della strada a scorrimento veloce Rieti-Torano, se da una parte ha contribuito a migliorare le condizioni di vita della zona, non pare riesca a farla risorgere. In quest’ultimo secolo si sono registrate le seguenti dinamiche demografiche: tra il 1901 ed il 1951 la popolazione ha subito un incremento del 10%, la situazione si è nettamente ribaltata tra il 1951 ed il 1961 quando si è registrato un decremento del 10%.

Questa tendenza allo spopolamento si è mantenuta fino a tempi recenti, le rotte dell’emigrazione si sono diversificate nel tempo. Nel 1961 la popolazione aveva raggiunto una densità inferiore a 50 abitanti per kmq, per attestarsi poi su un valore di circa 18 abitanti per kmq. I centri abitati, tutti situati nel versante sud del monte Serra, compresi tra i 500 e 1000 m di quota, sono molto piccoli, alcuni completamente disabitati, solo in alcuni casi superano oggi i 100 residenti. Complessivamente, nelle oltre 30 frazioni, si contano oggi circa 1550 abitanti al 31 dicembre 2009.
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La popolazione è costituita quasi esclusivamente da anziani, le nascite stanno purtroppo diventando un evento raro. Se non si verificheranno eventi che faranno invertire la tendenza al calo demografico l’intero territorio e destinato a diventare, nel giro di qualche decennio, completamente disabitato. Le principali rotte di emigrazione che prima erano orientate verso la Svizzera e la Germania, si sono successivamente spostate verso Roma e poi verso Rieti, richiamate dal suo nascente nucleo industriale. Il colpo di grazia è stato dato dalle varie forme di facilitazione, concesse per la costruzione delle abitazioni nell’area cittadina del capoluogo di provincia, che hanno convinto anche i più titubanti a lasciare la vecchia casa paterna per un nuovo e più comodo appartamento in condominio!

“… La strada scorrevole l’hanno costruita adesso che i paesi si sono vuotati, dovevano pensarci prima. Adesso chi vuoi che lasci la città per tornare nei paesi; in molte case le finestre si aprono solo a Natale e Pasqua !”.

“… I danni non bisogna farli; una volta fatti è difficile risistemare le cose !”.

Una particolare forma di emigrazione è stata, per lunghissimi anni, quella stagionale verso la Sardegna. Molti uomini, reclutati dai caporali , si trasferivano in dicembre presso i caseifici della Sardegna, per tornare a casa non prima di giugno. Questi casari erano diventati così esperti che, ad un certo punto, erano richiestissimi e mandavano avanti molti dei caseifici sardi. La gente di questa valle è sempre stata avvezza agli spostamenti, chi non si trasferiva definitivamente fuori dalla sua terra lo faceva nella sua terra.

Ogni anno, in coincidenza con le lavorazioni che si effettuavano nelle terre di montagna, molte famiglie si trasferivano, armi e bagagli, nelle casette (piccoli rifugi in quota), lì restavano per gran parte del periodo estivo per poi ridiscendere a valle solo dopo aver praticato lo sfalcio del fieno prima e la mietitura del grano poi. Da quel momento in montagna restavano solo i pastori che non sarebbero ridiscesi a valle se non con l’arrivo della prima neve. I tipici ricoveri in muratura utilizzati in montagna, le casette, erano tutte dotate di un recinto, regnostru, circondato da un muro alto anche oltre i due metri e sormontato da grosse pietre che sporgevano abbondantemente dai due lati del muro stesso, questi recinti servivano da ricovero per le greggi ed avevano una funzione anti-lupo.

“… Mi raccontava mio nonno che un anno la neve era durata tanto tempo, le pecore non potevano uscire dai recinti e anche i lupi avevano più fame del solito. Una notte i cani fecero un gran fracasso, non si vedeva nulla per il buio, la mattina trovò, vicino al recinto, una lupa che si era avvicinata troppo ed i cani l’avevano ammazzata …”.

Gli appezzamenti di terreno non erano mai recintati se non da bassi muretti a secco (le macere ), ciò anche per consentire il libero pascolo a tutti, secondo quanto previsto dagli antichi usi civici. E’ facile incontrare ai limiti dei campi arati dei grossi mucchi di pietre i maceruni , questi si erano formati nel tempo in seguito al costante lavoro di spietramento che si faceva nei coltivi, in tal modo si rendevano lavorabili e produttivi anche i terreni più impervi e marginali. In seguito a tale operazione i terreni apparivano ripuliti dalle pietre, queste difficilmente riaffioravano in quanto l’aratura, che si praticava con i buoi, interessava sempre lo stesso piccolo strato superficiale di suolo.

Con l’avvento dei trattori e l’abbandono dell’attività manuale di spietramento oggi molti campi appaiono abbondantemente cosparsi di pietre, modificando così l’antico aspetto dei coltivi che l’uomo con costanza e fatica era riuscito a costruire. A valle, nei centri abitati, tutti dall’aspetto tipicamente medievale, le case erano arroccate ed appoggiate le une alle altre. Esse avevano il decoro ed il profumo della semplicità, per nulla curate nell’aspetto esteriore e contemporaneamente rispondenti a comuni quanto spontanei canoni architettonici. Tutte perfettamente inserite nel loro ambiente senza vezzi superflui che avrebbero, in quel contesto, assunto l’effetto di stonature. Si distinguevano solo alcune case signorili. Le famiglie benestanti, avendo risolto il problema del quotidiano, avevano tempo e denaro per dedicarsi anche alle esteriorità. Le stalle avevano un aspetto tipico: costruite generalmente su due piani seguivano la linea di pendio, nel seminterrato c’era la stalla vera e propria mentre nel piano superiore il fienile, dal quale, tramite alcune aperture nel pavimento uccette , era possibile un’agevole somministrazione del foraggio alle bestie.

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