Il cammino di San Benedetto
Il progetto del Cammino di San Benedetto nasce nel 2009 con l’intento di unire attraverso sentieri, tratturi, carrarecce, strade a basso traffico, i tre grandi luoghi della vita di S.Benedetto: Norcia, Subiaco e Montecassino. Cosi chiarisce l’autore del Cammino e Presidente dell’Associazione Amici del Cammino di san Benedetto onlus Simone Frignani nel raccontarci questo suo progetto. A un dettagliato studio cartografico e delle foto da satellite, seguono accurate ricognizioni “sul campo”, che portano a identificare un possibile percorso.
Là dove presenti l’autore si è affidato, per la realizzazione del Cammino di San Benedetto, a sentieri già esistenti, peraltro una minoranza; dove non presenti, da priorità al fondo sterrato, utilizzando le strade asfaltate (sempre pressoché prive di traffico), per tratti brevi, e soltanto là dove non sia presente un’alternativa sterrata. Procedendo nella “tracciatura” del Cammino, Simone Frignani, ha provveduto anche a identificare i possibili luoghi di accoglienza: per ogni punto-tappa, a una ospitalità “religiosa” (dove presente), corrispondono sempre diverse ospitalità “commerciali”: bed&breakfast, agriturismi, ostelli e altre strutture ricettive, privilegiando comunque sempre strutture a conduzione familiare. Affinché il Cammino di San Benedetto diventasse effettivo, spiega ancora il Presidente, si rese necessaria la pubblicazione di una guida, ausilio indispensabile al percorso: “Il Cammino di San Benedetto”, ediz. Terre di Mezzo, di cui lo stesso ha curato la redazione. La prima edizione, uscita a fine Maggio 2012, è andata presto esaurita, tanto che a Ottobre 2013 si è pubblicata una seconda edizione, aggiornata. Nel 2014 è uscita la guida in lingua tedesca, edita da Tyrolia di Innsbruck: infatti sono già arrivati camminatori dai paesi di lingua tedesca, tradizionalmente ottimi recettori di queste iniziative.
A ulteriore sostegno del progetto, c’è un sito internet (www.camminodibenedetto.it), un blog e un gruppo Facebook; da ciò è nata una comunità di persone, che ruota intorno a questo percorso, e che recentemente si è costituita in Associazione (Amici del Cammino di San Benedetto onlus): ne sono soci amministratori pubblici, imprenditori, associazioni e semplici cittadini.
L’arrivo copioso ed in crescita dei pellegrini sta inducendo alcune piccole comunità a ripensare le loro economie in funzione del Cammino: in poco più di un anno di vita sono stati già più di mille i pellegrini, di varia provenienza (soprattutto nord Italia, ma anche Europa ed America settentrionale). Un Cammino ben strutturato porta necessariamente con sé un indotto che, così come avvenuto per il Cammino di Santiago, può rivelarsi sorprendentemente abbondante. Il Cammino di San Benedetto sta cominciando a muovere una piccola economia in comunità decentrate geograficamente ed economicamente depresse. Hanno aperto e stanno continuando ad aprire strutture ricettive, con il conseguente indotto che ne deriva; reso ancor più consistente da coloro che decidono di ripetere il Cammino, o che lo consigliano a parenti ed amici. Ogni pellegrino ha a disposizione le tracce gps, scaricabili dal sito internet; e per loro maggiore tranquillità possono contare sull’assistenza telefonica, dell’autore e degli “amici del Cammino” (persone in loco cui rivolgersi in caso di necessità). Sono sempre più le persone competenti e motivate, che si stanno dando da fare per far crescere quest’iniziativa. C’è comunque ancora tanto da fare: tra le priorità un’apposita segnatura, e laddove necessario, intraprendere opere di manutenzione (drenaggio e consolidamento) e mantenimento (sfoltitura periodica della vegetazione) dei sentieri; e ridurre i km asfaltati dove possibile, attraverso il recupero di un’antica viabilità. Tutto ciò che è stato fatto, lo si è realizzato su base volontaria.
La Tappa 5-9 del cammino, da “Rieti a Mandela” attraversa proprio la nostra bellissima Valle del Turano ed è, a detta di molti pellegrini, una delle più belle e suggestive di tutto il Cammino. Da Rieti si risale la valle del fiume Turano per Rocca Sinibalda e di lì una facile tappa conduce alla suggestiva Diga del Lago del Turano, eretta nel 1939 nel pressi dell’abitato di Posticciola e di Stipes. Per raggiungere il successivo paesino di Castel di Tora (uno dei borghi piu belli d’Italia), il pellegrino può scegliere diversi percorsi:
- quello segnato sulla guida che segue una strada sterrata sul versante sinistro del bacino, che costeggia le rive del lago;
- il trasbordo in barca sul Lago del Turano messo a disposizione dei “Pellegrini con Credenziali” dalla Lega Navale Italiana sez.Lago del Turano che nelle acque di questo bacino artificiale è ormai una realtà consolidata da qualche anno
- proseguire il cammino, e raggiungere quindi l’abitato di Castel di Tora attraverso, una Variante al Percorso di San Benedetto scegliendo di percorrere la via Turanense per godere del panorama mozzafiato che regala questa strada alternativa a soli due km dalla diga del Turano. Solo percorrendo questa strada infatti si può godere del colpo d’occhio che vi regala la Valle del Turano a 360°; un meraviglioso panorama sul lago e sui borghi medievali che sorgono intorno ad esso.
Foto di Antonio D’Ambrosio
Percorrendo la via Turanense per circa 4 km si arriverà nello splendido borgo di Colle di Tora.
Un Paese dalle case bianche, arroccato su una penisola che si protende nelle acque del lago del Turano. Arrivando a Colle di Tora si avrà la sensazione di attraccare in una terra sconosciuta; addentrandosi in esso con lentezza, il pellegrino, così come ogni visitatore che capita da quelle parti, si lascerà investire dalle indicibili sensazioni che infondono l’intenso incanto del paesaggio. Solo a un’oretta da Roma (e dai quattro o cinque milioni di romani), infatti in questo isolotto sospeso tra cielo e lago nel minuscolo borgo lacustre, che di anime ne fa neppure quattrocento, ci si concede il lusso di correre ad un’altra velocità, in una dimensione temporale rovesciata
Foto di Antonio D’Ambrosio
Colle di Tora si presenta così, in un’affascinante cornice naturale che esalta le bellezze di questo centro che è senza dubbio, per la caratteristica del suo territorio, il più legato al grande bacino artificiale realizzato dal regime fascista negli anni ’30 quando si decise di avviare lo sbarramento del fiume Turano con la conseguente creazione del lago artificiale. C’è una suggestiva strada panoramica che costeggia tutto il paese e, arrivando in un periodo di piena del bacino, si camminerà a pochi centimetri dall’acqua poichè il lungolago è posto al limite del massimo invaso.
Circumnavigando quindi la penisola del piccolo borgo di Colle di Tora si arriva alla punta dello stesso, nel cuore del paese, dove, proprio sotto la Chiesa troviamo un delizioso Belvedere, con splendide terrazze che affacciano direttamente sul lago e ricchi giardini dai quali si può ammirare l’incantevole paesaggio. È proprio da questo belvedere che si può ammirare in lontananza, arroccato su di una penisola, l’Antico Borgo Medievale di Castel di Tora e, alla sua sinistra il Monte Antuni.
Affrontando una tappa di montagna si prosegue per i tranquilli e ospitali paesi di Pozzaglia Sabina e Orvinio; quindi ancora tra i monti si scenderà a Mandela nella valle dell’Aniene.
Contatti: Associazione Amici del Cammino di San Benedetto onlus, via nuova 6, 02035 Orvinio (Ri) (tel. 076592194); gruppo omonimo su Facebook; sito Internet: www.camminodibenedetto.it
Il monastero di Santa Filippa Mareri
Prima Santa del Secondo Ordine Francescano, S.Filippa trasse i natali dalla nobile famiglia dei Mareri sul finire del Sec.XII, nel castello di loro proprietà.
Borgo S.Pietro era nel medioevo un passaggio obbligato sulla strada che da Assisi portava a Roma.
Qui S. Francesco un giorno incontrò? Filippa, dei baroni Mareri, e con l’ardore della sua parola la convinse, come era avvevuto qualche anno prima con Chiara di Assisi, ad abbandonare gli agi della casa per dedicarsi interamente al Signore.
Avviata da San Francesco alla vita di perfezione negli anni 1221-1225, prese la risoluzione di consacrarsi a Dio con tale determinazione che nè le pressioni dei parenti, nè le minacce del fratello Tommaso, nè le richieste dei pretendenti riuscirono a rimuovere.
Come Chiara di Assisi, fuggi da casa insieme ad alcune compagne e si rifugiò in una grotta nei pressi dei Mareri, oggi detta “Grotta di S.Filippa” e vi rimase fino al 1228, quando i due fratelli Tommaso e Gentile con strumento notarile del 18 settembre 1228, le donarono il Castello di loro proprietà con annessa la chiesa di S.Pietro de Molito, oggi Borgo S.Pietro.
La Santa vi si trasferì con le sue seguaci e nella nuova dimora organizzò e diresse la vita claustrale secondo il programma tracciato da S.Francesco per le Clarisse di S.Damiano.
La cura spirituale del Monastero venne affidata al Beato Ruggero da Todi dallo stesso S.Francesco.
Sotto la sua guida il Monastero, fondato da S. Filippa, diventò scuola di santità e la Fondatrice maestra di vita spirituale.
L’occupazione principale della comunità era il culto e la lode di Dio, la vita liturgica, la letteratura e lo studio della Bibbia.
Accanto all’attività spirituale il lavoro era tenuto in grande considerazione unitamente al servizio dei poveri e all’apostolato.
Nel Monastero venivano preparate medicine da distribuire gratuitamente ai malati.
Con la parola ma soprattutto con il fervore della sua carità e lo stile di vita, modellato alla scuola del Santo di Assisi, fece rivivere alcune pagine del Vangelo in un mondo che le aveva dimenticate.
S.Filippa morì il 16 febbraio 1236. La sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi e si cominciarono a registrare grazie e favori celesti elargiti da Dio per intercessione della sua serva. Nel 1706 venne fatta la ricognizione delle sue spoglie mortali e venne ritrovato il suo cuore incorrotto, conservato oggi in un reliquiario di argento. S.Filippa Mareri é la prima santa del Secondo Ordine Francescano, fondatrice del Monastero di S.Pietro De Molito nel regno di Napoli. Il titolo di Santa compare la prima volta in una Bolla di Innocenzo IV emanata nel 1247, quando erano trascorsi appena dieci anni dal suo transito. Sono passati oltre 750 anni dalla sua morte e la devozione per la Santa é andata crescendo non solo nella sua terra ma in numerosi altri paesi e in altri continenti per iniziativa degli emigranti, che nella protezione di Santa Filippa trovarono sostegno e conforto nelle difficoltà e la fecero conoscere ad altre popolazioni. Non di rado oggi ritornano davanti all’altare dove é collocata la sua tomba per esprimerle riconoscenza e gratitudine.
I MIRACOLI
Degli innumerevoli miracoli compiuti da S.Fillippa, ne ricorderemo alcuni di quelli raccolti da un pubblico notaio e confermati testimoni.
In tal senso va infatti sottolineato che per proclamare la santità di Filippa Mareri l’autorità ecclesiastica é intervenuta al fine di appurare l’autenticità degli stessi.
MIRACOLI OPERATI PRESSO IL SEPOLCRO DELLA SANTA
1) Una giovane di nome Gentilizia, proveniente dal castello Rigatti da due anni non aveva la vista in un occhio:
venendo al sepolcro di S.Filippa, alla quale si raccomandò con umiltà, riusci a riacquistare la vista.
2) Don Rinaldo, prete di Rigatti, da tempo era stato colto dalla rogna in forma grave e solo con il merito di S.Filippa si liberò dal male.
3) Maria Rainaldi di Varco Sabino era afflitta da febbre alta e da una forma di paralisi: solo dopo essere stata al sepolcro di S.Filippa riuscì a riacquistare la salute.
4) Maria d’Alba da circa 7 anni era preda del demonio che le causava una febbre continua: con l’intervento della Beata Filippa il demonio fu allontanato e la fedele guarì.
5) Amata di Pescolo era stata colpita da una paralisi totale e solo dopo aver visitato il sepolcro di S.Filippa ritrovò la salute.
6) Giborga di Collefegato aveva una mano affetta da un tipo di artrosi deformante che gli impediva di effettuare alcun movimento articolare: con le preghiere rivolte a S. Filippa presso il sepolcro riuscì a ritrovare l’articolazione dell’arto.
7) Gualtieri di Rainaldo Teodini di Oiano era da tempo affetto da una forte emicrania: recandosi presso il sepolcro della Santa sentì sopra di sé la grazia divina che gli ridava la salute.
8) Gualtieri di Villa Pace da sedici lunghi anni aveva perso la forza del braccio destro: con il divino aiuto della Beata Filippa tornò ad utilizzare l’arto.
9) Altadonna era una giovane di Rieti che da tre anni ormai era colta da infermità ai piedi e ad una mano, oltre ad aver perso la parola: mentre si incamminava verso il sepolcro della santa, ancora prima di raggiungerlo, riacquistò la voce ed i movimenti degli arti.
10) Rainaldo, servitore delle religiose del Monastero di Borgo San Pietro, era stato colpito da un tumore alla gola che gli impediva la respirazione. Quando si pensava fosse ormai giunto al termine della sua vita, gli posero le reliquie di S.Filippa sulla gola e per miracolo della santa ritrovò la salute.
MIRACOLI OPERATI CON UNA RELIQUIA DELLA SANTA
Alcuni decenni dopo la morte di S.Filippa, quando ormai le era stato riconosciuto il culto pubblico nella messa, le suore del Monastero di Borgo San Pietro avevano adottato una clausura molto più rigida che impediva l’accesso diretto dei fedeli al sepolcro della Santa.
Per tale motivo in quel periodo, per soddisfare i fedeli, si pensò di ricorrere all’uso dell scodella della santa.
Di questi miracoli però, a differenza dei primi, non vi sono note scritte nè testimoni qualificati.
1) Frate Palmerino di Magliano, trovandosi in una voluminosa postema guarì bevendo l’acqua con la quale era stata lavata la scodella di S.Filippa.
2) Illuminata Mareri era da tempo affetta da un fortissimo mal di gola che nessun medico era riuscito a guarire: soltando bevendo l’acqua con la quale era stata lavata la scodella della santa guarì dall’atroce mal di gola.
3) Un uomo di S.Rufina era affetto da malcaduco con attacchi improvvisi e dolorosi che nessun medico interpellato era riuscito a guarire. Decise così di raccomandarsi a S.Filippa facendo voto di digiunare alla vigilia della sua festa e di far dipingere la sua immagine: solo in questo modo riuscì a guarire.
Le suore di Santa Filippa Mareri
Frasso Sabino
Festa di San Pietro in Vincoli
La festa di San Pietro in Vincoli è la festa della liberazione di San Pietro da parte di un Angelo al momento della sua prima prigionia, ordinata da Erode poco dopo il martirio dell’Apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, i figli di Zebedeo. Il tiranno aveva constatato il piacere provato dagli Ebrei davanti all’omicidio di Giacomo. Egli non temeva di farsi una popolarità con dei metodi di questo genere. Alle genti senza coscienza, i mezzi d’azione importano poco. Il fine giustifica i mezzi, come dirà poi Machiavelli. Il racconto della liberazione dal carcere di san Pietro è narrato in Atti 12,1-19. Il re Erode Agrippa , dopo aver fatto uccidere l’apostolo Giacomo, vedendo che ciò era gradito ai giudei fece arrestare Pietro. Gettatolo in una prigione sotterranea, mise quattro picchetti di soldati a fargli da guardia, con il proposito di togliergli la vita dopo la festa di Pasqua. Nel frattempo i fedeli elevavano al Signore incessanti preghiere per la sua liberazione. Queste preghiere furono ascoltate. Una notte la prigione dove si trovava l’apostolo si illuminò improvvisamente e un angelo apparve a Pietro. Questi, incatenato, stava dormendo fra i soldati. L’angelo toccando il suo fianco lo destò e lo fece alzare in piedi. Le catene caddero dalle sue mani: “Mettiti la cintura e legati i sandali” disse l’angelo al capo degli apostoli, “Avvolgiti il mantello seguimi”. Pietro lo seguì e uscì dalla prigione, pensando in un primo momento che si trattasse di un sogno. Dopo aver oltrepassato la prima e la seconda guardia, arrivarono alla porta di ferro che conduceva in città. La porta si aprì ed essi uscirono. L’angelo scomparve non appena furono arrivati in fondo alla strada. Pietro rientrato in se, esclamò: “Ora sono veramente certo che il Signore mi ha inviato il suo Angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei giudei”. E si recò immediatamente nella casa in cui si trovavano molte persone riunite in preghiera per la sua liberazione. Il soggetto della nostra meditazione è la frase detta da San Pietro dopo la sua liberazione miracolosa dalla sua prigione di Gerusalemme da parte dell’Angelo del Signore. L’inviato celeste di Dio aveva svegliato il Capo della Chiesa addormentato tra due guardiani. Le sue catene erano cadute dalle sue mani. Su ordine dell’Angelo, egli aveva preso il suo vestito, calzato i suoi piedi, cinto le reni. Senza ostacoli, attraversarono i posti di guardia, passarono per la porta di ferro che si aprì davanti ad essi e guadagnarono un villaggio vicino alla città. L’angelo disparve e San Pietro si rese conto che Dio aveva esaudito la preghiera incessante del popolo cristiano e che aveva inviato un Angelo dal cielo per strapparlo alla prigione ed alla manifestazione progettata da Erode di cui doveva essere la vittima.
“Ora sono veramente certo che il Signore mi ha inviato il suo Angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei giudei”.
Felice e bella festa questa del 1 agosto ! Vi sono stati tanti prigionieri cristiani nel corso di venti secoli ! Dapprima durante i primi tre secoli delle persecuzioni ! Poi un poco dappertutto nel corso degli anni… Oggi ve ne sono più che mai. Il XX secolo appena concluso è stato marchiato dalle stimmate vergognose di terribili persecuzioni e di guerre pubbliche o subdole contro la Chiesa. Non è meno vero che anche oggi nel ventunesimo secolo, l’azione della Provvidenza divina sui prigionieri incarcerati per la loro fede in Cristo si dimostri meno vigilante e paterna che ai tempi di Pietro. Quale speranza e quale conforto per essi!
Signore, dai la forza, la pazienza e la speranza ai prigionieri che a causa della loro fede cristiana sono vittime dell’ingiustizia e della cattiveria degli uomini. Libera i tuoi prigionieri ed invia i tuoi santi angeli, Signore, a quelli che soffrono per te e che con San Paolo rivendicano questo bel titolo di sofferenza e di gloria “d’incatenati per Cristo”.
Per noi cattolici il Papa è segno di unità delle varie Chiese particolari (le diocesi) ed è il Vicario di Cristo in terra e per questo gode di una particolare protezione delle Gerarchie angeliche verso le quali mostra un profonda amore. A questo riguarda la vicenda del primo Papa della storia, San Pietro, è assai significati¬va; infatti l’Angelo del Signore liberò il Capo degli Apostoli dal carcere, ben due volte. La prima libera¬zione è descritta; in poche parole, nel capitolo V degli Atti, dove è scritto che la setta dei Sadducei fece gettare gli apostoli nella pubblica prigione: “Ma durante la notte un angelo del Signore aprì le porte della prigione e li condusse fuori” (At. 5, 19). La narrazione della seconda liberazione angelica è molto più ampia e la trascriviamo integralmente dalla Bibbia: “Verso quel tempo il re Erode prese a maltrattare alcuni membri della Chiesa. Fece morire di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, mandò ad arrestare anche Pietro. Si era nei giorni degli azzimi. Catturato, lo pose in carcere, dandolo a sorvegliare a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, con l’intenzione di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Mentre Pietro era tenuto prigioniero, la chiesa rivolgeva senza sosta preghiere a Dio per lui. La notte precedente il giorno fissato da Erode per farlo comparire davanti al popolo, Pietro dormiva in mezzo a due soldati legati con due catene, mentre le sentinelle davanti alla porta facevano la guardia alla prigione. Ed ecco che un Angelo del Signore gli fa vicino, e una luce risplendette sulla cella.
L’Angelo scosse Pietro ad un fianco e lo svegliò dicendogli: “Alzati, presto!”, Le catene gli caddero dalle mani; e l’Angelo gli disse: “Mettiti la cintura e legati i sandali”. E così fece. Poi gli disse: “Buttati addosso il mantello e seguimi”. E uscito lo seguiva, e non si rendeva canto che era vero ciò che gli stava accadendo per mezzo dell’Angelo, e gli sembrava piuttosto di vedere una visione. Oltrepassato il primo posto di guardia e il secondo, vennero alla porta di ferro che immetteva nella città. Essa si aprì da sola davanti a loro. Uscirono e si avviarono per una strada, e improvvisamente l’Angelo si dileguò da lui. Allora Pietro ritornato in sé disse: “Ora capisco davvero che il Signore ha mandato il mio Angelo e mi ha liberato dalla mano di Erode e ha reso vana l’attesa del popolo dei Giudei” (At. 12, 1-11). L’ intervento dell’angelo è veramente straordinario. Non possiamo dimenticare che secondo il racconto del libro degli Atti, c’era stato un grande afflusso di preghiere per ottenere il soccorso divino: dalla Chiesa saliva incessantemente una supplica per Pietro. Con questa prigione e con il giudizio che era in preparazione, la prima comunità cristiana era nel serio pericolo di essere privata del suo capo. Erode, gettando Pietro in prigione, aveva preso ogni precauzione per impedire ogni tentativo di fuga: l’aveva fatto consegnare a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno. Ma davanti a Dio, questa guardia armata era inefficace contro la potenza della preghiera della comunità cristiana e doveva crollare per l’intervento angelico imprevisto. L’angelo realizza la sua missione nel modo più opportuno.
Toccando Pietro, lo desta, ma solo nella misura necessaria per permettere al primo papa di fare tutti i gesti che dovevano portarlo alla liberazione; Pietro faceva questi gesti come in una visione, seguendo le istruzioni che gli erano date. L’angelo non l’aveva completamente risvegliato, per evitargli ogni reazione che avrebbe potuto creargli un disturbo emotivo, l’angelo infatti conosceva bene il temperamento spontaneo e vigoroso del capo degli apostoli. Pietro ha ripreso perfettamente coscienza di se stesso quando è uscito dalla prigione ed allora si è reso conto di essere stato veramente liberato e si è messo a riflettere su ciò che doveva fare. Pietro allora si recò alla casa della madre di Marco, dove si trovava un gruppo di cristiani che pregavano per lui. Possiamo constatare che recandosi in questa abitazione Pietro ha portato alla comunità radunata il risultato vivente delle sue preghiere. Ma in questa casa si è prodotto un singolare episodio che di nuovo riporta la nostra attenzione sul legame fra Pietro e gli angeli. Il libro degli Atti degli apostoli riporta che appena Pietro ebbe bussato alla porta esterna, una serva di nome Rodesi avvicinò per sentire chi era. Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunciare che fuori c’era Pietro, “ Tu vaneggi!”, le dissero. Ma ella insisteva che era proprio così. E quelli invece dicevano: “ E’ l’angelo di Pietro”.
Questi intanto continuava a bussare e quando finalmente aprirono e lo videro, rimasero tutti stupefatti. E’ interessante sottolineare che quelli che dicevano che si trattava dell’angelo di Pietro erano convinti che la protezione di un angelo viene data ad ogni uomo. Non solo questa protezione è concessa ad ognuno, ma l’episodio della liberazione di Pietro tende a dimostrare che un aiuto particolare degli angeli è destinato a coloro che, come i papi, nella chiesa esercitano l’autorità. E’ certo che in favore di quelli che assumono la responsabilità di guidare il cammino della comunità cristiana, c’è una mobilitazione degli angeli, soprattutto quando si scatenano le minacce della persecuzione. Alle forze ostili si oppone la forza superiore delle potenze angeliche. Il soccorso angelico procurato a Pietro era inatteso; testimonia che gli spiriti celesti possono intervenire in tutti i particolari della vita e supplire a tutte le incapacità umane. Possiamo affermare che Pietro, grazie alla sua miracolosa liberazione dal carcere, ha scoperto le qualità dell’angelo che lo liberava. L’apostolo non aveva probabilmente avuto prima la possibilità di conoscerlo e non poteva immaginare la profonda simpatia che legava l’angelo al suo destino.
Al momento della sua liberazione, egli ha capito meglio l’importanza di questa presenza messa a sua disposizione. Scoprendo questa presenza piena di premura per lui, Pietro ha riconosciuto più vivamente il dono celeste che gli era stato fatto con questo angelo. Era un angelo che faceva parte della sua esistenza. Dopo aver riportato il meraviglioso intervento per liberare Pietro dalla morte sicura, Luca, sempre negli Atti degli Apostoli, riferisce la reazione di Erode alla scomparsa dell’apostolo. Fu una reazione di rabbia impotente: cercando Pietro e non trovandolo più, fece processare le sentinelle e ordinò che fossero messe a morte. Poco dopo, Erode fece un discorso pieno di arroganza e di superbia agli abitanti di Tiro e di Sidone. Lo folla radunata lo esaltava gridando: “ Voce di un dio e non di un uomo!”. Luca aggiunge: “Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; ed egli divorato dai vermi, spirò” (At 12,33). Il contrasto fra il destino di Pietro e quello di Erode conferma la missione degli angeli al servizio di Dio e della sua Chiesa. Colui che pretendeva essere un dio e non un uomo ha ricevuto il castigo per la sua inaudita pretesa, mentre Pietro ha ottenuto la libertà di compiere la sua missione di evangelizzatore.